Alla luce di quanto evidenziato nell’articolo precedente appare evidente quanto la formazione orientata al mercato del lavoro sia un passaggio obbligato per ridefinire l’assetto produttivo ed occupazionale nel nostro paese.
L’Italia è tra le prime potenze economiche al mondo, la seconda in export e manifatturiero in area EU, ma ha un tasso di disoccupazione tra i più alti se paragonato ai diretti “competitor”, con percentuali allarmanti nella fascia più giovane della popolazione.
Stando al Rapporto Excelsior 2018 di Unioncamere a Anpal, viene confermata la difficoltà di matching tra la domanda di lavoro espressa dalle imprese dell’industria e dei servizi e l’offerta presente sul mercato. Un disallineamento che nel 2018 ha riguardato il 26% degli oltre 4,5 milioni di contratti di lavoro che il sistema produttivo aveva indicato come obiettivo, 5 punti percentuali in più del 2017. Cambia la struttura professionale dei fabbisogni delle imprese, con una crescente richiesta di profili maggiormente qualificati: la quota di dirigenti, specialisti e tecnici raggiunge il 19% del totale delle entrate programmate (era il 17,5% nel 2017), e contemporaneamente diminuisce di 3 punti percentuali il peso degli ingressi destinati alle professioni non qualificate, che si attesta al 15%. Viene inoltre sottolineato come sia sempre più importante essere in possesso di competenze legate al mondo del digitale e in materia di ecosostenibilità.

Questa particolare condizione in cui non si riescono a fare “incontrare” le competenze acquisite da un lavoratore e quelle richieste dal mercato del lavoro viene definito skills mismatch ed è un grosso problema per la nostra economia.
Stando ai dati dell’Ucimu (l’Associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione), l’industria della Penisola ha registrato una produzione per 6 miliardi negli ultimi 2 anni, con una fortissima propensione all’export che attesta la Cina come il nostro principale partner economico (oltre i 3 mld di Euro).
E’ una tendenza consolidata che ci vede al secondo posto in termini assoluti dopo la Germania.
Tra le figure più richieste in questo settore ci sono analisti e progettisti di software, disegnatori industriali e tecnici esperti in applicazioni; affiorano competenze più specifiche di quelle che possono essere elencate su annunci e qualifiche lavorative perché il sistema d’offerta non si basa solo su aziende che producono robot, ma un segmento più vasto che spazia dall’internet of things ai macchinari, come confermato dalla stessa Ucimu.
Il futuro sembra delineato in questo senso: la convergenza tra sensoristica, elaborazione e comunicazione in rete di apparati digitali specializzati pensati per essere impiegati ovunque serva raccogliere ed elaborare informazioni, automatizzare o integrare il funzionamento di apparati diversi avrà un ruolo sempre più centrale.
In un contesto macroeconomico difficile come quello attuale, ci sono interi settori in controtendenza come il comparto moda (+4% sul 2018), la metallurgia (+5,2%) e la meccatronica (+4,4%) e la chimica – farmaceutica (+2,7%), tutta la filiera turismo (+8,6 per cento).
Le opportunità ci sono, tuttavia il mismatch tra domanda ed offerta è notevole, tanto che ormai si utilizza sempre più spesso il termine di “introvabili” (quasi 1 su 4 secondo il Rapporto Excelsior).
A rendere ancora più complessa la situazione è che nello scenario descritto convivono sotto-qualificati e sovra-qualificati: l’incidenza nel tessuto produttivo è molto forte, come evidenziato da diversi studi come lo “skills mismatch in Europe” del ILO (vedi tabella) e da “Survey of Adult Skills” condotta dall’Oecd in cui si evidenzia come il nostro Paese risulti uno dei più inefficaci nel far incontrare competenze e offerte di lavoro.
Table 2. Incidence of overeducation in European Countries (percentage of employement)
Country | All | Male | Female | Younger workers |
Austria | 58.0 | 1.1 – 10.6 | ||
Belgium | 10.5 – 54.2 | 2.0 – 59.0 | ||
Czech Republic | 50 | 17.4 | 12.7 | 1.5 – 9.3 |
Denmark | 34.0 | |||
Estonia | 39.0 | 2.2 – 8.4 | ||
Finland | 11.1 – 27.0 | 10.3 | 14.5 | 3.3 – 14.1 |
France | 28.0 | 11.2 | 17.6 | 4.4 – 13.9 |
Germany | 11.8 – 60.6 | 12.3 – 15.6 | 10.7 – 19.1 | 2.2 – 12.6 |
Greece | 32.0 | 26.8 | 15.0 | |
Hungary | 37.0 | 23.6 | 19.8 | |
Iceland | 30.0 | |||
Ireland | 33.0 | |||
Italy | 13.9 – 71.5 | 14.9 – 21.3 | 12.8 – 18.4 | 4.0 – 19.0 |
Latvia | 43.0 | |||
Lithuania | 31.0 |
In questo caso il mismatch avviene anche a causa della struttura produttiva del nostro paese che è composta prevalentemente da aziende di piccole e medie dimensioni con una propensione all’innovazione tecnologica non esattamente al top tra i paesi occidentali e per questo meno propense ad accettare i cambiamenti, incluse nuove figure professionali.
Appare chiaro come lo skills mismatch sia un problema trasversale che necessita di una riorganizzazione complessiva dei meccanismi di selezione e formazione professionale.
Come descritto dal Rapporto sulla competitività dei settori produttivi 2018 “le analisi presentate nel Rapporto descrivono un sistema produttivo in transizione, con segnali di recupero sempre più estesi. Dall’analisi delle offerte di lavoro pubblicate online emerge il divario fra i profili che cercano le aziende e la preparazione professionale di quanti sono in cerca di occupazione. “
Le posizioni relative a figure digitali emergenti sono cresciute da febbraio 2013 ad aprile 2017 a ritmi del 280% e fra quelle più ricercate spiccano il Data Scientist, il Cyber Security Expert e il Big Data Analyst.
La richiesta di competenze legate al digitale è però forte anche per le professioni non strettamente tecnologiche, e questo si evidenza soprattutto nelle aree HR, Amministrazione e Marketing.
È un dato che conferma una tendenza che investe l’Italia e l’area EU (come rilevato dall’Osservatorio Digitale tra gli altri) ; tuttavia, nonostante investimenti ingenti per la Digital Transformation, il tasso di occupazione cresce molto più lentamente rispetto alle offerte di lavoro per specialisti ICT.
Viene stimato che nei prossimi anni all’industria occorreranno 100.000 ingegneri e 65.000 laureati in discipline scientifiche, 21mila nel solo settore chimico-farmaceutico, ma lo skills mismatch pesa come una spada di Damocle sulla nostra economia.
Secondo Mario Mezzanzanica, professore associato di Sistemi informativi presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca, «le aziende stanno superando in parte il problema acquisendo risorse che provengono da lauree in discipline scientifiche ed economiche e che si specializzano in materie Ict», ma un approccio risolutivo non può che contemplare una maggiore sinergia tra formazione (scolastica e professionale) ed imprese.
Written by Iniziative per le competenze digitali promosse da ANPAL – Smart Job Spa
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