
a cura di Ufficio Comunicazione
Le recenti anticipazioni del rapporto Svimez per il 2019 confermano quello che ormai tutti gli indicatori economici davano per scontato: al di là dell’andamento macroeconomico negativo (a livello continentale e nazionale), aumenta sempre di più il divario tra il Nord dell’Italia ed il Mezzogiorno.
In questo senso l’Italia guida la poco onorevole classifica dei Paesi col maggiore divario a livello economico, demografico e sociale tra 2 aree all’interno dei propri confini.
La cosa peggiore è che nel corso degli ultimi anni, nonostante qualche ingannevole segnale di avvicinamento tra il Sud ed il Nord del paese, il divario è aumentato ulteriormente (peraltro il Mezzogiorno non è mai riuscito a ritornare a livelli pre-crisi del 2008).
Le criticità sono note: mancanza di lavoro, disuguaglianza sociale, carenza formativa, bassa qualità dei servizi, mobilità sociale scarsissima.
Le iniziative per tentare di ridurre lo squilibrio sono moltissime, incluse quelle degli ultimi esecutivi , ma gli esiti sono quasi sempre stati al di sotto delle aspettative.
La piaga dei NEET
Nel 2018 gli indicatori del BES (benessere equo e sostenibile, indice istat) segnalavano complessivamente un miglioramento del 0,7 % nel Nord ed un peggioramento del – 2,8 al Sud.
A complicare il quadro generale c’è la presenza dei Neet, di cui già ci occupammo, ed evidenziammo come il fenomeno post crisi fosse aumentato in maniera esponenziale.

Bisogna infatti considerare che in Italia abbiamo il numero di Neet in percentuale maggiore dell’intera area EU, ma per comprendere fino in fondo la frattura tra Nord e Sud basta segnalare che Province come Crotone o Palermo hanno il triplo dei Neet di Treviso o Modena, ed in Sicilia il dato sembra peggiorare ulteriormente.
A questo si aggiunge un saldo anagrafico negativo ed un fenomeno migratorio che ormai è considerevole, con una perdita prevalentemente di figure giovani e formate (inclusi laureati o con titoli superiori ed è inutile ribadire che siamo agli ultimi posti in area EU per numero di laureati).
Il danno è doppio: oltre a perdere valide risorse giovani, si disperde anche il capitale pubblico investito su quelle figure in termini di formazione (scuola, università, etc.).
Oltre al danno la beffa.
Inoltre questa situazione economica influenza anche lo stile di vita: come evidenziato in passato da Eurostat, la percentuale degli over 25 (ma si parla di una fetta cospicua di 35enni) che vive coi genitori è altissima, per cui il fenomeno è molto più complesso ed incide sul tessuto sociale in maniera profonda.
Nonostante le difficoltà economiche, la consistenza della popolazione giovanile nel mezzogiorno è sempre stata presente, tenendo comunque vivo un territorio difficile; oggi quella vitalità viene messa a dura prova dalla migrazione forzata.
Di azioni concrete ce ne sono state e ce ne sono diverse, dagli sgravi per le assunzioni a misure che aiutano i progetti di autoimprenditorialità ( sia Smart Job– come Agenzia di Somministrazione- che Smart Job Pro – come associazione professionale con la propria rete di consulenti- offrono supporto per chi fosse interessato a beneficiarne), ma la sfida principale resta quella di rendere appetibile il Sud senza incorrere in facili tentazioni che hanno qualche beneficio temporaneo, ma che tendono a dissolversi nel medio e lungo termine (si pensi alla deindustrializzazione del sud dopo il grande boom foraggiato con i soldi della Casmez).
Invertire la tendenza.

Convincere le generazioni più giovani ad essere il volano di un modello sociale e di sviluppo che armonizzi il cambiamento e l’innovazione con le caratteristiche originali del proprio territorio è cruciale: è l’unico modo per non tagliare i ponti col futuro, come appare chiaro da diversi indicatori.
Recentemente abbiamo citato il rapporto da McKinsey & Company nel quale si prospetta un impatto dell’intelligenza artificiale sull’economia italiana pari a 230 miliardi di Euro nel prossimo decennio.
La sfida è epocale, anche perché è necessario che ad intercettare il cambiamento siano le generazioni più giovani per una questione di prossimità culturale e di sostenibilità in una prospettiva di medio/lungo periodo.
La realizzazione di strutture come il polo universitario di San Giovanni a Teduccio, col suo Innovation HUB dedicato ed i partner dai nomi “importanti”, è un fatto positivo che si muove nella giusta direzione (e ci sarebbero anche altre esempi da citare, ci limitiamo a Napoli per prossimità territoriale), ma è necessario riorganizzare complessivamente il sistema formativo e rendere davvero reale la mobilità sociale, oltre che ridurre il gap occupazionale col nord.
Altrimenti i 2 milioni di cittadini che dal Mezzogiorno hanno trasferito la loro residenza altrove saranno sempre di più.