a cura di Ufficio Comunicazione
Dopo la crisi economica del 2008, in tutta Europa c’è stato un incremento della disoccupazione che ha colpito trasversalmente tutta la popolazione, con una concentrazione maggiore tra i giovani e le donne.
Per combattere il fenomeno è stata elaborata una strategia comune adottata dal Consiglio Europeo, su proposta della Commissione, denominata Europa 2020.
Di fatto sono stati fissati una serie di obiettivi finalizzati a perseguire la “crescita inclusiva”, ovvero l’aumento del tasso di occupazione favorendo la coesione sociale e territoriale, in relazione ai quali sono stati predisposti degli strumenti per intervenire concretamente.
In alcuni paesi gli obiettivi sono già stati raggiunti, ma l’Italia non è tra questi.
Il confronto con gli altri paese dell’UE.
Rispetto alla media europea per tasso di occupazione l’Italia è penultima appena prima della Grecia, ben lontana dagli obiettivi fissati da Europa 2020.
Va anche detto che il trend negativo è stato invertito a partire dal 2013, il punto più negativo in assoluto dal 2008, e che oggi il tasso di occupazione è ritornato sui livelli pre-crisi.
Tuttavia rispetto al trend complessivo emerge un dato in
controtendenza che riguarda principalmente la fascia di popolazione più
giovane.
Se nel 2007 in Italia il 6,1 % dei giovani era disoccupato oggi il tasso è salito fino al 10,6% e quello che preoccupa è la relazione forte che c’è tra il tasso di abbandono scolastico o l’interruzione degli studi universitari e l’aumento della disoccupazione come si evince con chiarezza dalle tabelle elaborate grazie ai dati Eurostat:
La relazione tra l’abbandono dei percorsi scolastici e formativi e la disoccupazione giovanile


I Neet
Bisogna anche considerare che in Italia è presente il più alto tasso di NEET (not in education, employment or training, ovvero giovani tra 15 e 29 che non studiano o lavorano) a livello europeo, ripartiti più o meno omogeneamente tra donne e uomini (rispettivamente il 52% ed il 48%) e che la maggioranza è concentrata nella fascia di età tra i 20 ed i 29 anni (84% complessivo).
Per quanto riguarda la composizione del gruppo, i dati elaborati da Anpal suggeriscono che c’è bisogno di distinguere in almeno 4 sottogruppi:
- In cerca di occupazione (898.188 , pari al 41,03%);
- In cerca di opportunità (545.722, pari al 24,9%);
- Indisponibili (427.398, pari al 19,5%%);
- Disimpegnati (317.399, pari al 14,5%).
Il 42 % dichiara di non essersi mai rivolto ad un Centro per l’Impiego.
Stando a quanto riportato nel rapporto “PREVISIONI DEI FABBISOGNI OCCUPAZIONALI E PROFESSIONALI IN ITALIA A MEDIO TERMINE (2019-2023)” elaborato dal Sistema informativo Excelsior, nei prossimi anni l’Italia avrà una carenza di diplomati e laureati compresa fra le 160.000 e le 250.000 unità.
Questo pone una serie di questioni davvero complesse e che si sovrappongono ad altri aspetti critici del nostro mercato del lavoro, come lo skills mismatch o la mancanza di figure specializzate definiti “introvabili”, oltre che animare preoccupazioni circa la tenuta del nostro tessuto sociale.
I tentativi per invertire la tendenza
Alcune azioni, in termini di politiche attive per il lavoro, sono state implementate, (Reddito di cittadinanza, incentivi fiscali per i Neet o i giovani del sud, incentivi per l’autoimpiego “Resto al Sud”), ma l’impatto complessivo al momento resta marginale e, soprattutto, il passaggio scuola-lavoro resta un nodo insoluto.
Nel contesto descritto non va assolutamente sottovalutata un’altra questione che indirettamente emerge : l’obsolescenza delle competenze.
Per una potenza industriale come la nostra costituisce un’ombra torva anche per il saldo anagrafico negativo dell’Italia.
L’assenza di un vero e proprio collante tra scuola e mondo del lavoro (l’Alternanza Scuola – Lavoro non è ancora lo strumento che tutti auspicavano) e di un efficace sistema di formazione, che consenta di recuperare le carenze o di aggiornare le competenze in funzione delle richieste dal mercato, sono i limiti più evidenti dell’attuale sistema.
Il rischio concreto è che a risentirne maggiormente saranno le categorie più vulnerabili e che il gap tra il Nord e il Sud del paese crescerà ulteriormente, basti pensare che oggi nessuna regione del Sud si avvicina minimamente agli obiettivi fissati e che la disoccupazione in alcuni casi esprime percentuali 4 volte maggiori rispetto alla media nazionale.